11/12/2015 Giorgio La Pira. La “visione” del Fidel italiano

di Andrea Riccardi

Fonte: Corriere della Sera - SETTE

Giorgio La Pira il "comunistello di sacrestia" per gli ambienti vaticani anni 50, credeva nel potere d'attrazione del mondo cristiano. Attraverso il dialogo

Negli ambienti vaticani degli anni Cinquanta, lo chiamavano il “comunistello di sacrestia”: si trattava di Giorgio La Pira, sindaco di Firenze da1 1951 al 1957 e da1 1961 al 1965. In realtà La Pira aveva una visione geopolitica che rifiutava il determinismo tragico, per cui Occidente ed Est comunista erano destinati, se non allo scontro, a una perenne contrapposizione. Gli ambienti vaticani e italiani (conservatori), quelli economici, il “partito romano” (la corrente ecclesiastica di destra e tradizionalista), lo consideravano pericoloso. Giuseppe De Luca, erudito e prete romano, lo chiamava “il nostro Fidel Castro”.
La Pira, antifascista e oppositore alle leggi razziali, non aveva paura dei suoi avversari. Da1 1952 alla morte (nel 1977), comunicò le sue visioni del mondo ai papi (da Pio XII a Paolo VI). Membro dell’Assemblea Costituente, aveva dato un notevole contributo ai principi generali della Costituzione anche in collaborazione con la sinistra. Era convinto che, per cambiare i mondi altri, la pace e il dialogo fossero decisivi, non lo scontro. Da1 1952, organizzò a Firenze i convegni per la pace e la civiltà cristiana, poi raccolse i sindaci del mondo, tra cui quelli di Mosca e di Pechino (non esistevano relazioni diplomatiche tra Italia e Cina popolare). Voleva creare ponti tra mondi in opposizione. Non solo con l’Est, anche se andò al Cremlino e poi ricevette dai sovietici, primo occidentale, il discorso segreto di Kruscev sulla destalinizzazione. Per lui un contatto tra ebrei e arabi era decisivo, anche per risolvere il conflitto arabo-israeliano tramite il negoziato.
In questa prospettiva, fin dagli anni Cinquanta, viaggiò in Israele, Giordania, Egitto, Tunisia, ovunque accolto come amico. Per gli ebrei, era tra i fondatori delle Amicizie ebraico-cristiane mentre, tra gli arabi, era considerato un interlocutore di rilievo. Il Mediterraneo doveva essere lo “spazio di Abramo” per una vita comune tra ebrei, cristiani e musulmani, tutti figli del patriarca biblico. Ancora oggi impressiona la “visione” di La Pira. Per lui, l’Europa e il mondo cristiano dovevano esercitare un’attrazione”, attraverso l’umanesimo e la superiorità “tecnica”, verso l’Est comunista e il Terzo Mondo (fu un convinto sostenitore dell’indipendenza dell’Algeria dalla Francia). Scriveva ne1 1958: «Questi “briganti”, come Kruscev e Mao Tse Tung, bisogna avvicinarli; bisogna guardarli con fede e sicurezza negli occhi». Era convinto che, con il Terzo Mondo, si dovesse lavorare molto anche per evitare l’influenza marxista o le derive di contrapposizione. Negli anni Settanta s’impegnò per la fine del conflitto tra Vietnam del Nord e del Sud.
Temeva che la logica dello scontro si impadronisse della Chiesa e dell’Occidente: «La Chiesa ha oggi questo grande mandato: essere la costruttrice di ponti, ovunque, per tutte le nazioni, tutte le culture, tutti i regimi, direi quasi per tutte le religioni» – scriveva ne1 1974 a Paolo VI. Un sognatore? Molti lo accusarono di questo. Il suo ruolo non fu riconosciuto e, dopo la fine del suo mandato di sindaco nel 1965, non ebbe incarichi pubblici. Ma fu un riferimento. Le sue visioni hanno ispirato la politica italiana e quella della Chiesa. Si possono discutere, ma – come scrive Mario Luzi La Pira «levò alto i pensieri». Senza sogni e visioni, senza sguardo sul mondo, la politica si immiserisce nei gorghi del quotidiano. È la sua lezione.

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