17/02/2015 Isis fa strage dei copti. I doveri dell’Italia

Dopo il massacro dei cristiani egiziani in Libia, è il momento di un'assunzione di responsabilità. La scelta di una personalità come Prodi sarebbe un segnale forte

di gigasweb

Fonte: Corriere della Sera

Il filmato dello sgozzamento dei ventuno copti è un messaggio di terrore e un documento di orrore. Le vittime sono egiziani (poveri) che, nonostante gli avvertimenti, hanno cercato lavoro in Libia: cristiani, da secoli marginali nell’Egitto musulmano, fedeli al cristianesimo malgrado le pressioni islamiche. Negli ultimi decenni, i copti hanno realizzato una crescita sociale e religiosa, che sorprende chi ne visita chiese e monasteri.
 
Si sentono arabi ma, per il Califfato, sono «crociati », avanguardia dell’Occidente. Colpirli — si legge nel filmato — è «il messaggio firmato con il sangue alla nazione della croce». Il rituale dell’esecuzione è ormai standard: gli abiti neri dei carnefici (alti, grossi e dominanti) e arancioni delle vittime come i reclusi di Guantanamo. Questa volta la scena non si svolge nella campagna mediorientale, ma sul Mediterraneo. Nel silenzio spettrale si sente il rumore delle onde, mentre sfila il mesto corteo sulla riva del mare e l’acqua si tinge di sangue. I cristiani, portati ritualmente al macello, dovrebbero terrorizzare la «nazione della croce»: gli europei oltre il mare. Rituale, logo, messaggi, sempre uguali, danno la sensazione di un fronte incombente: dal Medio Oriente alla Libia e altrove. Un vero terrorismo mediatico: «Prima ci avete visti su una collina della Siria. Oggi siamo a sud di Roma… in Libia».
La prima riflessione deve essere sui cristiani d’Oriente, uccisi perché «infedeli» e avamposto dell’Occidente. Anche in Iraq, i cristiani hanno sofferto, ma non così. I cristiani egiziani, per la loro vivacità, sono «odiati» dai terroristi, come si arguisce dalle allusioni nel filmato. E utilizzati per intimidire l’Occidente (che si è dimenticato di loro). In questo quadro fosco per i cristiani, spicca il grande coraggio del vescovo cattolico di Tripoli, Giovanni Martinelli, restato in Libia con gli ultimi cattolici, trecento lavoratori filippini. Perché questa è la Chiesa…
Si deve anche prendere sul serio il messaggio minaccioso: «Oggi siamo a sud di Roma». L’Italia non è abituata a vivere vicino a un’area d’instabilità. Le crisi dei Balcani erano un’altra storia. Oggi si moltiplicano le minacce terroristiche. Approdano rifugiati sulle coste italiane. Altri affondano in mare. In un clima un po’ confuso e spaventato, si è profilata l’idea della risposta militare. La soluzione si può ammantare del pathos di un’Europa che ritorna a fare storia. Gli egiziani (toccati dal massacro) e il governo libico di Tobruk insistono che bisogna evitare il Califfato sulle rive del Mediterraneo. Ma come? Prima si devono capire le dimensioni della lotta in corso in Libia. Gli uomini del Califfato, con forte capacità di condurre una battaglia mediatica, suscitano emozioni in Europa. Ma l’Isis è solo una delle varie componenti in campo, nonostante la presa di Sirte. Il suo disegno è chiaro: coalizzare le varie forze e esercitare un’egemonia su di esse. L’aggressività contro l’Occidente fa parte del suo accreditamento, come la spietatezza contro i cristiani.
L’Isis vuole anche svegliare i «lupi solitari» e così colpire il nostro Paese. Una contrapposizione frontale e l’insistenza sull’intervento militare vanno nel senso dello scontro auspicato dal Califfato. Un intervento frontale favorirebbe l’aggregazione di gheddafiani e tribù attorno all’iniziativa politica dell’Isis, con la ripresa di motivi anticristiani, anticolonialisti e antitaliani, collante prezioso nella Libia in frantumi. Di questo dobbiamo tener conto per evitare di subire la loro iniziativa politico-mediatica o di fare passi falsi. Evitare i recenti errori nel mondo arabo non vuol dire però inazione.
Chiara e responsabile è stata la dichiarazione di Matteo Renzi: «In Libia non c’è un’invasione dello Stato islamico…». Non è il momento della guerra. Ma di una forte iniziativa politica. L’Italia ha una responsabilità. Una personalità come Romano Prodi, con un largo mandato internazionale, mostrerebbe una ferma volontà di agire. E la decisione di non farsi trascinare in beghe tra fazioni libiche. Si aprirebbe un percorso difficile, ma con tante opzioni possibili.
Non sottovalutiamo il pericolo, ma non siamo in un vicolo cieco. Di fronte a tanta follia disumana, sentiamo la forza e le risorse dell’Europa. Il dolore per le vittime cristiane non diventa però paura.
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