29/06/2013 Intervista ad Andrea Riccardi: «I cristiani a rischio perché testimoni del dialogo»

di gigasweb

Fonte: L'Unità

Dalla Siria alla Nigeria, i cristiani «rappresentano presenze pacifiche che vengono eliminate perché testimoni di un`altra strada del vivere insieme». A lanciare l`allarme è Andrea Riccardi, già ministro per la Cooperazione internazionale e l`Integrazione, fondatore della Comunità di Sant`Egidio, ordinario di Storia contemporanea alla Terza Università di Roma.

Dalla Siria giungono notizie di orrore e di morte. Sempre più atroci. Come la decapitazione di tre persone, probabilmente tre religiosi. «Questo atroce episodio rivela la brutalità di questa guerra. Non ci dimentichiamo che due vescovi metropoliti di Aleppo – il siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos al-Yazigi – sono prigionieri da più di due mesi. La Siria era un Paese dove cristiani e musulmani vivevano insieme. Io ho dei ricordi bellissimi di Aleppo e Damasco, dove  cristiani e musulmani di diverse tradizioni vivevano fianco a fianco. Si capisce allora come i cristiani abbiano visto nella feroce dittatura di Assad una garanzia, come i cristiani iracheni l`avevano vista in Saddam».

La guerra siriana ha ormai sconfinato nel vicino Libano, un altro Paese dal fragile puzzle multireligioso.

 «Ho avuto modo di visitare non molto tempo fa il Libano e ho visto la terribile condizione in cui vivono i rifugiati siriani: donne e uomini, a decine di migliaia, che sembrano essere "invisibili" per le autorità libanesi, le quali temono che si installino nel loro territorio. Mi ha colpito anche la condizione disperata dei rifugiati palestinesi dalla Siria, oltre 40mila, nei campi di Sabra e Chatila, dove pagano 600 dollari per una stanzetta malsana… Un esodo, quello dalla Siria, che non si ferma, a un ritmo di quasi centomila persone al mese. Se il Libano era già fragile, oggi è ancora più "fragilizzato". Ad aggravare ulteriormente la situazione, c`è il fatto che gli Hezbollah hanno preso a giocare una partita armata in Siria, a fronte di un governo libanese che cerca di tenersi lontano dal conflitto».

In Siria una soluzione politica ad una guerra che ha provocato oltre 100mila morti appare lontana. La Comunità internazionale s`interroga sul sostegno militare ai ribelli, mentre non riesce a trovare un accordo su «Ginevra 2».

«Noi Occidentali abbiamo commesso un grave errore: quello di non appoggiare immediatamente l`opposizione pacifica siriana prima che subisse una progressiva militarizzazione. Non si era capito a fondo la crudeltà determinata del regime, come non si era capito quanta ribellione covasse nel Paese. Ora la situazione si è radicalizzata, si è internazionalizzata, facendo della Siria un campo di battaglia
infraislamico. Ormai una larga parte della popolazione, e in essa i cristiani, sono ostaggio di questa storia terribile».

Una storia, quella di cui è vittima la comunità cristiana, che dalla Siria si estende alla Nigeria. C`è un allarme cristiani in questa vasta, e tormentata, area del mondo?

«C`è allarme perché i cristiani rappresentano presenze pacifiche che vengono eliminate perché testimoni di un`altra strada dove vivere insieme. Il caso della Nigeria è altamente drammatico, laddove si va a messa la domenica e si muore».

In questo scenario così altamente drammatico ha ancora spazio e diritto di cittadinanza la parola «dialogo»?

«Il dialogo è l`unica strada. Certo è che quando tutto si è frantumato, quella del dialogo resta un`arte difficilissima quanto necessaria. In questo quadro, c`è un`altra riflessione da fare che riguarda in particolare l`Occidente, una riflessione dolorosa ma necessaria..».

Qual è questa riflessione, professor Riccardi?

«Dobbiamo riflettere sugli interventi militari, a partire da quello in Iraq che, obiettivamente, ha frantumato la situazione, e lo dico senza nessuna nostalgia per Saddam Hussein. Questa riflessione deve riguardare, per venire a tempi più recenti, anche la Libia, dove ancora ordine e pace non sono stati stabiliti. Si tratta di scelte difficilissime se non impossibili».